C’è un ambito in cui il ciclismo è rimasto parecchio indietro rispetto ad altri sport: le grafiche televisive. Non mi riferisco solo al Giro d’Italia, ma all’intero movimento, compreso il blasonato Tour de France. Nella tappa di Siena, con il gruppo continuamente spezzettato e continui cambi al comando, era davvero difficile capire le posizioni. Le grafiche non aiutavano affatto: scarne, confuse, quasi inutili. Un dettaglio? Forse. Ma oggi tutti gli sport investono per rendere più comprensibile lo spettacolo. Il ciclismo, su questo piano, resta fermo al palo.
E proprio nella stessa tappa si è visto un Roglic in difficoltà. Avevo già sottolineato a inizio Giro come il suo peggior nemico sia se stesso. La condizione fisica è indiscutibile, ma la tecnica di guida resta un limite. La caduta non è stata responsabilità sua — l’incidente è partito da Hamilton — ma è emersa la sua vulnerabilità. In tanti discutono se una frazione del genere debba far parte di una corsa a tappe. Per quanto mi riguarda, la risposta è sì, senza riserve. Il ciclismo moderno non può basarsi solo su potenza e comunicazione radio: serve capacità di lettura, adattamento, improvvisazione.
Dopo la caduta, Roglic è apparso insicuro: evitava la scia, prendeva le curve con eccessiva prudenza. In una delle tappe più affascinanti del Giro — al punto che il Tour de France ha iniziato a replicarne lo stile con i settori in pavé — ha perso terreno. Sfortunato, sì. Ma anche inadatto a confrontarsi con i migliori su percorsi tecnici e sconnessi.
Chi invece ha brillato è stato Van Aert. Dopo tante giornate sprecate per scelte discutibili, stavolta ha fatto tutto nel modo giusto. Non ha dato cambi a Del Toro, e ha fatto bene. Non c’era nulla di scorretto: in una corsa a tappe si ragiona in prospettiva, e Del Toro si stava giocando la maglia. Van Aert avrebbe dovuto collaborare solo se il vantaggio fosse calato sotto i 40–45 secondi. Sapeva che, per reggere Del Toro sullo strappo finale di Santa Caterina, doveva arrivarci lucido. Negli strappi precedenti era rimasto agganciato per un soffio.
Il suo stile è inconfondibile, quello del ciclocrossista che si spreme con tutto il corpo: braccia, schiena, ogni fibra. Ma quando è in difficoltà, lo si legge in faccia. E ieri era al limite. Proprio per questo, la vittoria è meritata. Ha gestito, ha osservato, ha colpito al momento giusto.