prodhomme giro d'italia

In un ciclismo dominato da talenti precocissimi, da fenomeni costruiti a tempo di record e da outsider provenienti da altre discipline, la vittoria di Nicolas Prodhomme al Giro d’Italia – e che vittoria! – racconta una storia diversa. È la storia di chi arriva tardi, per mille ragioni: infortuni, sfortune, o semplicemente un percorso di crescita più lungo. Prodhomme non è un nome nuovo per gli appassionati: se a vent’anni trionfi alla Bassano-Montegrappa, gara dura e selettiva, vuol dire che il motore c’è. Ma il salto definitivo nei pro’ ha tardato ad arrivare, nonostante tre esperienze da stagista in diverse squadre del WorldTour. È poi la AG2R Citroën, una delle squadre che già l’avevano testato, a offrirgli finalmente un contratto. E lui, a 28 anni, si prende tutto in un colpo solo: gloria, tappa, riconoscimento. In un ambiente dove spesso si bruciano i talenti prima ancora che sboccino, la sua è una parabola fuori dal tempo. E per questo ancora più preziosa.

Per quanto riguarda la lotta alla classifica generale, la giornata si è sviluppata secondo logiche ben collaudate. Tuttavia, pur di fronte agli elogi – in particolare da parte di Garzelli su Rai Sport – per la gestione tattica della UAE Emirates, non posso dirmi convinto. Le fughe di inizio tappa, seppur fisiologiche, hanno assunto dimensioni quasi paradossali: 25, 30, fino a 38 corridori in avanscoperta. A quel punto, più che una fuga, sembra un secondo gruppo in gara. La UAE ha lasciato fare, forse troppo. È vero che un certo margine va sempre concesso agli attaccanti, ma c’è un limite oltre il quale la situazione diventa difficile da controllare. Quando in una fuga ci sono 30 uomini, diventa complicato persino per l’ammiraglia riconoscere tutti i nomi trasmessi via radio corsa. E se in mezzo si infilano corridori pericolosi o gregari utili a rivali diretti, la situazione si complica: quanto personale spendi per rimettere tutto in ordine? E quanti compagni rimarranno al tuo capitano nel momento decisivo? Lasciar scappare la fuga e poi rincorrerla è tutta un’altra fatica.

Si è detto che la UAE abbia agito in modo impeccabile. Io, invece, credo che semplicemente possa permettersi qualche disattenzione, perché dispone di un organico superiore. Con gambe come quelle di Majka o Yates, che in altre squadre sarebbero leader da podio, la squadra riesce a dominare anche senza perfezione tattica. È questo strapotere fisico a fare davvero la differenza. E oggi si è visto: il forcing imposto ha tagliato le gambe agli avversari, annichilendo qualsiasi velleità di attacco.

Ci si aspettava di più da questa tappa? Forse sì. Ma questo Giro ha avuto ritmi folli fin dalla prima settimana, e ora molti stanno presentando il conto. Anche l’attacco di Carapaz non ha lasciato il segno: più un gesto di orgoglio che un tentativo concreto. Il suo è stato un assalto di cuore, da chi non si arrende mai. Ma se nessuno ha reagito, la spiegazione è una sola: il serbatoio era vuoto.

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