Spesso mi becco critiche quando commento in modo negativo le tattiche di quei grandi campioni che fanno parte del ristretto club degli extraterrestri di questa generazione di corridori, ma l’Amstel Gold Race 2025 è stato il perfetto riassunto di tutto ciò che può andare storto durante una gara, pur venendo (quasi) sempre compensato dalle prestazioni incredibili di questi fenomeni.
Salvo quando un ottimo corridore, anzi un campione, pur non appartenendo al club degli extraterrestri, riesce a stare a ruota e ad essere così intelligente da giocarsi tutte le sue carte nel modo migliore, come ha fatto Skjelmose.
Campione, perché di energia bisogna averne tanta per resistere alle ruote di Evenepoel. E forse era davvero al limite, o forse stava anche un po’ bluffando, fatto sta che l’inseguimento su Pogacar è pesato per l’80% sulle spalle del campione olimpico, mentre Skjelmose ha collaborato quel tanto che bastava per convincere Evenepoel a portarselo dietro.
Evenepoel, come sempre, ha continuato a tirare, convinto di poter battere chiunque, ed è qualcosa di molto bello da vedere e molto apprezzabile per chi guarda da fuori. La generosità entusiasma il pubblico, un po’ meno la strategia.
Osceno invece, sempre da un punto di vista tattico, l’attacco nel momento esatto in cui viene ripreso Pogacar. È una mossa che puoi tentare contro un fuggitivo stremato dopo tanti chilometri di fuga, non certo contro il campione del mondo che, pur ripreso, è ancora in corsa per la vittoria. Pensare di staccare Pogacar dalla ruota in quel modo era irrealistico.
L’unico risultato ottenuto è stato innervosire l’avversario, e se Pogacar avesse deciso di non tirare più nemmeno un metro fino all’arrivo, sarebbe stato comprensibile.
E infatti, sul Cauberg smette di collaborare. Evenepoel a quel punto avrebbe dovuto fermarsi, rischiando di farsi riassorbire dal gruppo, ma non lo fa: perdere contro uno o contro dieci non cambia molto a certi livelli, ma Evenepoel non trova il coraggio di dire a Pogacar che, senza collaborazione, si sarebbe fermato anche lui.
E qui Skjelmose compie una mossa che, per me, lo consacra genio tattico: si porta davanti e dà due piccoli cambi, in un tratto dove stare a ruota o stare in testa comporta la stessa fatica perché la salita è molto ripida, riuscendo così a calmare gli animi dei due extraterrestri e a prevenire eventuali attacchi che avrebbero potuto penalizzarlo.
Un gesto da applausi, perché quei due cambi hanno di fatto trascinato il terzetto fino alla volata, consumando pochissima energia, esattamente dove Skjelmose voleva arrivare.
Il rettilineo d’arrivo dell’Amstel è uno di quelli che io personalmente odiavo da corridore, perché è in leggera discesa.
Favorisce chi sa piazzare il colpo secco all’ultimo secondo, mentre chi parte lungo, come Evenepoel, ha davvero vita dura, e infatti così è andata.
Forse su un arrivo del genere non aveva alternative, ma certo non ha giocato le sue carte nel modo migliore. Pogacar, da parte sua, è apparso leggermente calato rispetto al Fiandre – per quanto possa calare un extraterrestre come lui – e non azzarda: capisce che deve correre con intelligenza, perché oggi non ha quel margine di superiorità che gli consente di fare follie e vincere comunque.
Ma la testa l’ha usata meglio di tutti Skjelmose, che forse è stato sottovalutato dai suoi compagni di fuga, mentre lui architettava una strategia perfetta e, con grande abilità, ha piazzato le ruote davanti ai soliti extraterrestri.